Rachele De Prisco, Quattro del mattino
Quattro del mattino
e niente caffè.
Ripenso alla notte disturbata dai miei continui risvegli,
dalla panchina congelata della sala d’aspetto di un reparto che
[quasi mi fa sorridere:]
ma che diavolo c’entra l’oculistica con me?
“Chi deve abortire aspetti pure seduto qui. Appena si libera un
[letto ve lo diamo”]
Io devo abortire.
Sono come lontana chissà quanto da tutto quello che mi
[circonda e dalla voce] dell’infermiera già così rassegnata ad una giornata piena di[gente di numeri.]
Come fai ad avere il tempo e lo spazio giusto per pensare a
[quello che ti sta capitando?] Tutto sembra quasi fungere da anestetico.Una sola la preoccupazione: che l’infermiera esca da quella
[porta,]
continuamente ed indifferentemente richiusa,
e ti assegni al tuo destino giornaliero.
Certo, stare bene perfettamente e vedersi inchiodare ad un letto
[ancora caldo…]
è pacchiano, ti senti fuori luogo.
“Anche tu qui per via dell’aborto?”
Mi giro incontrando lo sguardo della mia compagna di sedili
[gelidi che, rivolta a me]