L’attualità “anti” degli antigiuppo
Lectio Magistralis alla cerimonia di Premiazione
Erice, Palazzo Sales, 20 Giugno 2014
L’arte ha il dovere sociale di dare sfogo alle angosce della sua
epoca. L’artista che non ha accolto nel fondo del cuore
il cuore della propria epoca (…) costui non è un artista.
Artaud
La poesia deve essere fatta da tutti. Non da uno. (…) abbandonare
la poesia “personale” per tornare alla poesia “impersonale”. (…)
La poesia deve avere come scopo la verità pratica.
Lautréamont
Parlare di Nat Scammacca e dell’Antigruppo, oggi, in que-
sta cornice ericina, significa prima di tutto ricordare, a parere
di chi vi parla, il legame della poesia e delle scritture di questi
autori con la verità pratica e il tempo in cui operarono. Un
tempo che, dagli anni Sessanta ai Novanta, Beraldi Bifo, leg-
gendo le trasformazioni in corso, scansionò in ondate:
la prima ondata fu il movimento studentesco del 1968,
quello della forza lavoro scolarizzata che si univa al movimen-
to operaio contro le forme di autoritarismo, di conformismo
e di sfruttamento che il capitalismo imponeva alla società in
fase di ristrutturazione. Quello stesso movimento del ’68 di
cui Nat e l’Antigruppo capirono l’importanza e la funzione e
con studenti e lavoratori, come poeti e intellettuali, cercarono
il contatto sia dentro l’istituzione scolastica che nelle lotte so-
ciali, culturali e politiche. Fu il ’68 che vide gli studenti e gli
intellettuali uniti agli operai non per solidarietà o scelte ideolo-
giche quanto perché ormai il lavoro operaio e quello cognitivo
erano diventati la nuova forza produttiva trainante della terza
rivoluzione industriale, e la composizione sociale significava
integrare l’intelligenza collettiva come elemento decisivo del
movimento anticapitalista;
la seconda ondata fu quella della primavera del ’77 e fu l’e-
mergere del movimento giovanile proletario che, trasformandosi
la vecchia industria fordista, poneva al primo posto la libertà
dal lavoro salariato, la felicità collettiva e l’autonomia. Cadeva
il problema dell’unità studenti e operai, e l’attenzione focaliz-
zava la centralità sul lavoro creativo, sulla tecnicizzazione, sulla
comunicazione nella produzione, sull’appropriazione diretta del
tempo di vita e delle merci e sulla critica della forma spettacolare
della cultura. Il movimento della seconda ondata del ’77, che
si era battuto per l’indipendenza della società dalle regolazioni
repressive dello Stato, si trovò invece a fare i conti con la perva-
sività dell’economia e della sua dittatura sulla vita e sul sapere;
la terza onda è quella degli anni Novanta, in Italia prese il
nome di Pantera, e centrò le lotte e il dibattito sul rifiuto della
subordinazione della scuola alle imprese e sulla consapevolezza
dell’importanza delle tecnologie nel processo di trasformazione
cosciente, enfatizzando la potenza innovativa della rete e generò
la cultura del cyberpunk (la cultura che ereditò lo spirito sovver-
sivo dagli anni settanta e lo coniugò con lo spirito collaborativo
che prevale nella fase della connessione generalizzata del www).
Il lavoro diviene sempre frammentato, precario e generatore di
stress, mentre il capitale lo ricombina (diventa ricombinante);
la quarta ondata è quella del movimento studentesco
dell’ottobre 2005, quella della generazione video-elettroni-
ca contro la riforma Moratti. È chiaro a tutti ormai che questa
riforma ribadisce e peggiora le scelte dei governi precedenti
verso una subordinazione crescente della formazione al pro-
fitto, e che ha netta la percezione sia del carattere catastrofico
dell’orizzonte presente, sia della potenza infinita del lavoro co-
gnitivo e sia della miseria deprimente delle condizioni sociali
precarie in cui il lavoro cognitivo è costretto a vivere.
Parlare di Nat Scammacca e dell’Antigruppo significa ri-
confermare il significato “rivoluzionario” che il gruppo AN-
TIGRUPPO poetico (fondato da Scammacca, Cali, Certa,
Cane, Diecidue…) ha dato al termine ANTI e alla parola della
poesia, specie oggi che le parole e la comunicazione simbolica
sono diventate oggetto privilegiato delle oscillazioni dei merca-
ti capitalistici globalizzati. Rivoluzionaria scommessa è anche
questa iniziativa della casa editrice Arianna e del Comune di
Erice perché ci sembra che sentano la necessità di ridare voce
alle scritture fuori mercato e del “dissenso” a fronte del domi-
nio del regime del consenso che del mondo delle “lettere” che,
come dice il mio amico Ignazio Apolloni, nel senso che chi
se ne occupa può scrivere delle lettere, cura strumentalmente il
divertimento e le estetizzazioni seduttivi e consolanti. CAnti
dell’Antigruppo siciliano, già nel lessema stesso che lo signi-
fica, è un ossimoro affatto digeribile; un acuto contro cui i
molti (quelli che dicevano la poesie c’est moil) hanno sbattuto
facendosi molto male (vorrei dire procurandosi il piacere di
una emorragia emorroidale, ma l’autocensura è più forte…).
Questi signori de la poesie cest moil ancora oggi, quando
ne scrivono e ne parlano, usano sempre gli stessi stereotipi del
mercato: non sono stati poeti, sono stati solo polemisti, piaz-
zisti, gruppettari, propagandisti, populisti… nessuno oltre lo
Stretto di Messina sa di loro.
Eppure, basta sfogliare libri, riviste e stampa d’epoca per
rendersi della pochezza di simili luoghi comuni.
Contro diamo solo qualche indicazione dove si legge di-
versamente:
- L’editore Lacaita nel 1979 pubblicò un’antologia in due vo-
lumi sulla poesia meridionale dell’ultimo trentennio — Ol-
tre Eboli: la poesia. La condizione poetica tra società e cultura
meridionale (1945-1978). L’opera fu a cura di A. Motta.
Leonardo Mancino scrisse l’introduzione. Antonino Motta
e Carlo Augeri, parlando del pulsante Antigruppo e di Nat,
scrissero che la loro poesia era tutt’altro che “propaganda
in versi” o voce di piazza de-poeticizzata o virulenta po-
lemica di estremisti in piazza. Scrissero che «Le proposte
artistiche dei poeti siciliani sono molteplici, ricche di una
varietà di motivi e temi ideologici», e indirizzate «al rinno-
vamento sociale e culturale della Sicilia e del Mezzogior-
L’operazione degli autori dell’Antigruppo è polemica e
il più della volte provocatoria; (…) ipoeti realizzano varie
iniziative con le quali si fanno (corsivo nostro) “operatori”,
oltre che “creatori” di cultura (…) Vengono portati avan-
ti diversi progetti di poetica, in cui è possibile distinguere
una componente underground (…) una linea d’ispirazione
realista-concettuale (N. Scammacca e G. Diecidue) (…)
una realista-dialettale (Certa, Cane e Cali)». Il loro speri-
mentalismo non manipola solo la struttura della parola ma
interviene «sul dinamismo del testo in sé, organizzato con
nuovi termini e codici linguistici, rispetto a quelli usuali
del realismo e della poesia dialettale; una tendenza lega-
ta a forme di sperimentazione “pura” è rappresentata da I.
Apolloni e P. Terminelli»[1];
- Di Nat Scammacca, Giuliano Manacorda scrisse: l’Anti-
gruppo, con Nat, registra quasi una posizione di cerniera
tra l’effusione epico-lirico-didascalica e la ricerca neosperi-
mentale; ma lungi dal trattarsi di una pacifica mediazione,
è l’instancabile spirito polemico a rilanciare di continuo le
sue proposte valide soprattutto per Xanimus che le muovo-
no e le rinnovano»[2];
per memoria qui si ricorda che il poeta iper-sperimentalista
romano Gianni Toti (il termine “Antigruppo” è stato coniato
da lui e sulle pagine della rivista Quartiere), come riportato
dal n. 5 della rivista “Antigruppo Palermo”, novembre 1974,
polemizzava con Pietro Terminelli, così come furono in con-
tatto con l’Antigruppo, i poeti e gli intellettuali fiorentini
che avevano fondato la rivista “Collettivo R” (La R della te-
stata voleva e vuole significare: “R come Resistenza, intesa
come identificazione ideale nella Resistenza antifascista; R
come Rivoluzione, in quanto l’impegno politico, sindacale e
culturale mirava e mira a un radicale cambiamento dell’as-
[1] Antonio Motta – Carlo A. Augeri, Oltre Eboli: la poesia. La condizione
poetica tra società e cultura meridionale (1945-1978), Lacaita, 1979.
[2] Giuliano Manacorda, Per un neoimpegno, in Storia della letteratura
italiana contemporanea 1994-1996, 745, Editori Riuniti, Roma, 1996,
pp. 742-743.
[1] Giuliano Manacorda, Per un neoimpegno, in Storia della letteratura
italiana contemporanea 1994-1996, 745, Editori Riuniti, Roma, 1996,
pp. 742-743.
setto globale del Paese, e non solo; R come Ricerca, in quanto
nessuna rivoluzione può mai essere tale se non è alimentata
da spirito democratico di ricerca e di evoluzione progressiva
verso forme sempre più avanzate di libertà, giustizia sociale,
uguaglianza e democrazia sostanziale”);
- non dimentichiamo certo i contatti con i poeti americani e
gli intellettuali dell’Europa Occidentale e Orientale, curati
da Nat Scammacca e Rolando Certa.
Ma che significato ebbe il termine ANTI per gli antigrup-
po? Sfogliamo l’antiflash di Tulipano Rosso, dedicato alla de-
scrizione della fisionomia umana e culturale-poetica dei vari
componenti, e leggiamo: Anti «è (…) smitizzazione». Una
smitizzazione che tocca gli stessi soggetti in quanto uomini,
poeti, scrittori o produttori di cultura. «Anche i poeti man-
giano, bevono e vestono panni. Come tutti i comuni mortali
di questa nostra terra. La loro condizione biologica non deve
essere dissociata da quella culturale».
Altrove, nel Gruppo ’63, la smitizzazione poteva esse-
re il “sabotaggio” (E. Sanguined) al poetese, ovvero il rifiuto
dell’aura poetica, del lirismo tutto soggettivistico e simboleg-
giarne. Quel gruppo è stato il fronte di una polemica infinita e
non sempre a ragion veduta, se è vero che la comune critica ai
vecchi modelli del far poesia aveva molti punti in comune, ma
differenti soluzioni. E di questo rifiuto – lo smantellamento
dell’aura — l’Antigruppo non mancò, se fra i suoi componenti
non mancava né la poesia dell’impegno né quella sperimentale
né il far di conto con la vita quotidiana e la realtà storica.
Il rifiuto dell’aureola lo vediamo anche nel modo in cui
i poeti del gruppo si ritraggono e dipingono l’identità che li
contraddistingue con quel misto di impegno e ironia che han-
no saputo, a modo loro, mettere in campo. Riporto solo il
ritratto di Nat e di Rolando.
«Nat Scammacca — si legge nel suo antiflash — è stato in ma-
nicomio e, fra tutti, è il più sano di mente. Così scoperto, così can-
dido, così indifeso, intenerisce e sgomenta. Non lo puoi attaccare
da nessun lato perché ti previene con la sua disarmante ingenuità.
Di solito, comincia i suoi discorsi così: «lo, che sono un paranoi-
co… Allora, non lo ascolti più. Pensi che se lui è un paranoico, e ci
tiene a dimostrartelo, se lui, così calmo coerente preciso intuitivo, è
un paranoico, tu ti chiedi a quale casistica psicopatica appartieni.
Se a quella dei nevrotici, o a quella degli schizofrenici, o degli
ossessivi maniaci, o più semplicemente dei pazzi furiosi»;
In quello di Rolando Certa si legge: «una sola cosa è certa:
non è tipo da fare La guerra, ma l’amore. Calmo, pacifico, pacioc-
cone, l’espressione ilare e giuliva di un fraticello francescano che
sconosce quanto sia faticoso vivere. Scrive poesie d’amore. Gode
della beata smemoratezza degli incoscienti e dei geni. Per lui, il
tempo, è una dimensione inesistente. Che siano le due, di giorno o
di notte, che sia estate o inverno, ventesimo o diciottesimo secolo,
per lui non cambia niente. Nulla disturba il fluire sereno del suo
calmo discorso. Nulla lo interrompe. Scrive poesie d’amore. Ad un
certo punto, si dimentica tutto: le strade che ha percorso la sua glo-
riosa 124 Fiat, le alluvioni e i terremoti, la conquista della luna e
la guerra dei Vietnam. Dicono i maligni che a volte si dimentichi
pure di essere sposato da diciotto anni e si fidanzi con sedicenni,
perché non si ricorda che da un pezzo non ha più vent’anni. Scrive
poesie d’amore».
Se l’azione dell’essere ANTI, infarti, è quella di “smitizzare”
certo vetero fare poetico e immergersi invece nel tempo che si
vive, impegno e ironia, in loro non sono che momenti di con-
flitto. Possono solo dirci che sono poeti e personaggi non certo
beati tra le braccia del verso individualistico dell’intimità eva-
nescente o delle forme d’antan. Nat Scammacca aveva capito
perfettamente che i tempi avanzavano con delle svolte che non
potevano essere ignorate, e che la poesia, sia come linguaggio e
testualizzazione, non poteva ignorarne la portata e l’incidenza
trasformativa nei costumi e nelle idee. La comunicazione della
semantica poetica non poteva allora rimanere prigioniera né
nelle vecchie forme né essere preda di asettici formalismi, o
di chiusure individualistiche e settarismi. L’Antigruppo è così
un gruppo (forse un aggregato di transizione) altamente vo-
tato al “polemos” ma con uno spirito altamente pluralistico e
variegato. Un gruppo ANTI è ANTI perché del gruppo non
ama l’organizzazione gerarchizzante a scapito della parità dei
componenti e della libera creatività di ciascuno.
Nel pluralismo delle forme l’Antigruppo siciliano ha trova-
to così il nesso politico-culturale per attivare il rapporto con le
masse e le singolarità individuali. Un rapporto e un nesso che,
nelle trasformazioni d’epoca, stavano per perdere e abbando-
nare però i legami con il collante del pubblico e del collettivo.
Nat percepisce profeticamente il fenomeno e lo testualizza poe-
ticamente nella poesia L’io nel noi[1].
[1] La lettura di questo testo è di Massimo Pastore, attore e regista teatra-
le, è il fondatore del TAM (Teatro Abusivo di Marsala).
L’io nel noi
Girate l’io verso il noi
ma ancora un io
niente catena
nessun vero legame
nessun vero nodo.
Liberi. Chiedete perché
Girate in
trovate in questo io
il noi in tutti i vostri voi
come me.
Girando a sinistra
vorticate verso più lontane frontiere:
le province degli ultimi a mangiare
a dormire ad avere
gli antigruppo lì in fondo
ciascuno trovi la risposta propria
se a sinistra
la mia
se a sinistra
la nostra.
Nat aveva capito perfettamente che il tempo dei gregarismi
era finito e che la crisi (crisi dei blocchi e degli assetti economi-
co-sociali delle parti), in corso d’epoca, aveva portato alla ribal-
ta la vitalità e il valore delle singolarità e del risveglio culturale
e politico della società. Ma temeva fortemente che il plurali-
smo, le libertà e i diritti della modernità stessero per collassare,
e che il fenomeno metteva a rischio il nesso sociale quanto il
senso del bene comune. E qui, credo, trovi il suo giusto senso
l’invito della poesia L’io nel noi e l’avversione per 1 ’ establishe-
ment. Perché l’Antigruppo è stato e voleva essere, come diceva
Sartre, un “gruppo in fusione” e un “appello alla libertà”; un
contatto vivo e permanente con le masse senza massificare la
poesia ed evitare le secche dell’artistocrazia dello sperimentali-
smo formalista. Bisognava, come scriveva Garcia Lorca, spor-
care la poesia nella prassi, una pratica che prima di allora non
era considerata onorevole.
Sono i ventun punti di Una possibile poetica per un Antigrup-
po di Nat Scammacca: «Che la poesia sia principalmente una
ricerca dell’esistenza e dell’uomo nella esistenza, con l’inten-
to di scoprire una strada pragmatica (…) per la sopravvivenza
dell’uomo per la creazione di scopi valevoli per continuare l’e-
sistenza. Che l’uomo trovi eventualmente la sua eternità nella
stessa esistenza e non annulli se stesso nella incomunicabilità,
nel nulla, nel silenzio»[1].
I 21 punti certamente hanno dei limiti di analisi teori-
ca e modellistica circa la nascente società dell’immateriale o
del postfordismo; ricordo anche che l’amico e poeta Rolando
Certa aveva avuto dei limiti nel leggere “la morte dell’uomo”
di Michel Foucault, ovvero la crisi irreversibile dell’uomo del
vecchio umanesimo; ormai — come scriveva Michel Foucau-
lt — l’uomo umanistico era più un ricordo che una realtà in
sviluppo. Era piuttosto l’uomo della società del sorvegliare e
punire e poi del controllo, o della politica governamentale, della
sicurezza e del terrore.
[1] Nat Scammacca, Una possibile poetica per un Antigruppo, Celebes Edi-
tore, Trapani, 1970, p. 47.
La negatività ANTI dell’Antigruppo non smise mai di col-
loquiare con la realtà le sue trasformazioni. Noi pensiamo,
scrivevano i poeti dell’Antigruppo, di proporre un’arte «ariti
che sia soprattutto liberazione della poesia e dell’arte in genere
da strutture corporative e da fenomeni di poteri industriali e
capitalistici. In fondo per noi arte resta come (…) si diversifica
da una massificazione, perché un’arte massificata perde la sua
forza di penetrazione e la sua capacità rivoluzionaria di inter-
pretare, capire la realtà sociale nuova esistente e di promuovere
modificazioni per una realtà sociale nuova i cui contenuti ri-
flettano la dignità e la libertà umana. Si diversifica, altresì, da
un’arte aristocratica, che, nella sua finalità di evasione, manife-
sta il suo disimpegno (…). Per questa ragione Tanti” respinge
la strutturazione meccanicistica, sperimentalistica, specialistica
dell’arte di gruppo (…). Pertanto la fantasia rimane come ele-
mento che sa cogliere il reale nella sua essenzialità pei’ univer-
salizzarlo nei suoi valori umani e sociali»[1].
Come il poeta cieco (Omero), di cui parla Hannah Arendt,
o l’angelo di Benjamin che “sosta nel giudizio”, il poeta Nat
è uno spettatore partecipe, un poeta critico e polemico ma è
anche uno che non dimentica la cura della forma dello scrive-
re poesia. A questa elaborazione formale, come lui scrive nei
suoi 21 punti, nessuno doveva sottrarsi. Era un’istanza etica
per tutti; e chi veniva, come diceva lui, dal “basso”, o era fra i
più umili e l’ultimo arrivato, non ne era affatto esentato.
Della polemicità critico-politica, nel 1968, come ricorda
Mario Pietralunga, ne parlava Mauro De Mauro (il famoso
cronista del quotidiano L’Ora di Palermo). De Mauro parlava
di Nat come di uno che tocca le corde dolenti dell’etica della
violenza razziale e guerrafondaia della politica americana (Nat
durante la guerra rischiò la corte marziale, perché si rifiutò di
andare a sganciare le bombe sul Giappone); ne scrisse nt\\’In-
troduzione alle poesie di Scammacca che pubblicava su Paese
Sera come II problema americano negro visto da un americano
bianco.
Uno spaccato che metteva a nudo ciò che dell’America un
“anti-gruppo” come lui, non poteva non vedere e rifiutare: l’A-
merica «è un paese pieno di pregiudizi, abitato da gente ter-
ribilmente carica d’odio. Ci sono veramente pochi paesi nel
mondo dove esistano tanto odio e tanti pregiudizi (…) Esiste
in America un’aristocrazia dell’economia nella quale soltanto
pochi potranno penetrare. La libertà rimane soltanto in mini-
ma parte alla classe borghese, mentre le classi umili sanno che
per loro non esistono eguali condizioni di possibilità».
Di questo colloquio con la realtà e i problemi della storia,
violenta quanto mai nei suoi intrecci, e spesso secretati per pre-
sunte ragioni di stato, Nat, per esempio, dà prova (come già
abbiamo sentito nella poesia dell ’Io nel noi) anche ne la Mia
bella pantera nera.
Mia bella pantera nera
Gli americani warlords credono di vedere
la tua vera morte nella morte legale.
26
[1]IIAntigruppo come impegno, in Un tulipano rosso, a cura di Santo Cali,
Edigraf, Catania, 1971, pp. 99-100.
Un vero nodo che ti pende sulla testa
una testa morta — la TUA testa morta!
Guardali! Bramano il tuo sangue.
Ora tu sai molte cose, bella pantèra nera.
Nessun individuo si compromette totalmente col grande Stato
e vive.
Nessun grande Stato uccide l’individuo
e sopravvive.
Tutto questo è cattivo — male, è uguale schiavitù.
E esattamente ciò che i signori della guerra vogliono!
Non CONTRATTO sociale o politico.
È frode! E GIÀ la morte!
Ma tu sai pure, svelta pantèra nera,
che esistere è resistenza, è impegno per tutti
per tutti noi-protestatori-negri-poveri-studenti-scrittori-poeti.
È ribellarsi contro la loro morte per noi.
Resistere è vita — fa vivere, ora, COMPLETAMENTE!
Sì, tu sai tutto questo e per questo non ti possono uccidere
né ora né mai,
mia bella pantera nera.
Il 4 agosto 1991, la VII edizione del Premio Internazio-
nale di Poesia “Città di Petrosino”, all’unanimità dei giurati
(A. Contiliano, G. D’Aleo, U. Fadini, V. Licari, G. Lombardo,
F. Minissale, G. Polizzi, V. Titone, L. Zinna), dichiara vinci-
trice Ericepeo di Nat Scammaccca. Ericepeo è la summa del-
la produzione poetica dell’autore e il suo testamento poetico
e politico-culturale. Un’opera (antologica) che dà la misura
dell’impegno letterario del poeta siculo-americano. Impegno
e misura di largo raggio e di maturo spessore artistico. Ericepeo
di Nat Scammacca è infatti la sintesi elaborata di un’avventura
artistica che coinvolge tutti gli aspetti della vita. Dalla dimen-
sione familiare alla politica, dall’epigramma alla riflessione psi-
contologica, dalla denuncia delle politiche razziali all’amore.
I denigratori dell’Antigruppo non avevano capito che quella
era una voce poetica che rappresentava una frattura storica per
la poesia siciliana, e che la “propaganda” in versi dell’impe-
gno della poesia dell’Antigruppo era propriamente il propagarsi
della poesia fra la gente e in piazza per dialogare e confron-
tarsi con gli altri: la verità e i problemi della pratica della po-
esia con cui si sono relazionati Artaud e Lautréamont. Forse i
signorotti della poesia c’est moi, diversamente da Nat e dagli
antigruppo, ignoravano (erano ignoranti) quanto un Artaud
e un Lautréamont avessero testamentato a proposito del lato
pragmatico della poesia.
E cosa non hanno fatto (recital, editoria, contatti regio-
nali, nazionali e non) Nat e l’Antigruppo perché la poesia si
propagandasse fra la gente e perché si abbandonasse il recinto
dei salotti aristocratici e deU’interiorità privata per entrare nel-
la prassi del conflitto culturale e politico! Questa materia del
conflitto, sul piano delle scritture (come si vede), non è stata ri-
serva di caccia del solo Gruppo ’63, l’avanguardia italiana con
cui quella siciliana dell’antigruppo non ebbe buoni rapporti.
Lucio Zinna, nella Città di Petrosino del VII concorso
internazionale di poesia, nell’esame del linguaggio poetico di
Eìicepeo, l’opera vincitrice di quell’anno (4 agosto 1991), ha
scritto:
Ora sussurrata ora gridata, la poesia di Scammacca, anche
quando si cala nelle pieghe più tragiche del banale quotidiano,
riesce a risolversi liricamente, per una improvvisa voluta, per
un colpo d’ala che la pone in altra e più elevata dimensione,
“in più spirabil aere”, si direbbe, secondo una personale ci-
fra stilistica che affina sentimenti e pensieri e nobilita polemi-
che, il tutto, in una sorta (…) di lungo e variegato racconto,
umanissimo e coerente – pur nelle contraddizioni conclamate
o sottese (ma più apparenti che reali) – e comunque sempre
pulsante.
Personalmente, e in più occasioni, ho dedicato, spero non
immeritatamente, riflessioni e considerazioni scritte all’An-
tigruppo. Gli scritti sono stati ospitati sia su riviste cartacee
che sulle pagine web (ricordo, a titolo d’esempio, “Fare poesia
in Sicilia” in http://bollettario.blogspot.it/2010/01/fare-poe-
sia-in-sicilia-di-antonino.html. 1 gennaio 2010).
E per finire ringrazio tutti i componenti del TAM (Teatro
Abusivo di Marsala) di Massimo Pastore per la disinteressata
disponibilità che hanno mostrato nel dare la loro voce ai te-
sti classificati primi al primo Premio Internazionale Letterario
e Artistico “Nat Scammacca”. I loro nomi: Massimo Pastore,
Stefano Parrinello, Marta Marino, Giovanni Lamia, Giorgia
Amato, Francesco Pellegrino e Monica Pellegrino.
Antonino Contiliano